Le opportunità di sviluppo ci sono, ma occorre forse cambiare qualcosa nel rapporto tra chi commercializza la IV gamma e chi coltiva. Di questi argomenti si è parlato nel workshop “Strategie agronomiche e scelte imprenditoriali nel comparto della I e IV gamma in Campania” curato dal team di ricerca del Crea Cerealicoltura e Colture Industriali di Caserta, tenutosi il 24 aprile scorso a Pastorano, nel quadro dell’XI edizione di Fiera Agricola.
“Attualmente il mercato italiano delle verdure di IV gamma ha un fatturato stimato di circa un miliardo di euro che è cresciuto tra 2014 e 2015 del 3% in valore e del 2,8 in volume – ha ricordato Raffaella Pergamo – e in Campania, nella Piana del Sele nella nostra indagine relativa solo alle otto organizzazioni di produttori presenti sul territorio, si è rilevato un fatturato medio annuo nell’ultimo biennio di circa 200 milioni di euro”.
In Piana del Sele le aziende agricole legate alle Op oggetto dello studio hanno investito in IV gamma su ben 5400 ettari (dei quali 2300 in serra) e sono attive in media da 11 anni. Hanno una forma giuridica che nel 75% dei casi risponde a quella della società cooperativa e la forma di distribuzione finale del prodotto al consumo avviene nel 50% dei casi attraverso la Gdo. Forte l’orientamento all’export, con mercati di riferimento importanti in Germania, Francia, Austria, Olanda, Regno Unito ed Emirati Arabi Uniti. Le Op della della Piana del Sele investono innanzitutto in qualità del prodotto, immagine e pubblicità e lamentano prezzi poco remunerativi ed una eccessiva esposizione finanziaria, ma anche difficoltà con la logistica. Sul piano agronomico si misurano con la ridotta disponibilità di presidi fitosanitari per il controllo delle malerbe, la stanchezza dei suoli, il controllo del contenuto di nitrati del prodotto finito, che spesso non collima con i rigidi limiti posti dalla Gdo. Un mercato fortemente competitivo – privo di significative barriere d’entrata – ha spinto le aziende ad investire sulle risorse umane e in futuro determinerà l’acquisizione di nuovi immobili, tecnologie informatiche e macchine agricole per la lavorazione terreno, con un occhio alla ricerca per migliorare il prodotto ed individuare nuovi mercati.
Ernesto Lahoz ha parlato degli aspetti fitopatologici di questa tipologia di colture - che spesso si tengono in tunnel - e ha presentato due nuove avversità, tra le tante segnalate negli ultimi anni: il fungo Plectosphaerella cucumerina e alcuni Mixomiceti del genere Physarum, che insorgono durante la coltivazione.
Plectosphaerella cucumerina si presenta con necrosi puntiformi poi convergenti e clorosi fogliare lungo i margini delle foglie, con l’effetto poi di degenerare in marciumi molli che deteriorano il prodotto finito. I Mixomiceti del genere Physarum si evidenziano sulle foglie basali, dove sono stati riscontrati moltissimi corpuscoli di colore variabile dal bianco al grigio scuro, facilmente distaccabili, che ricoprivano massicciamente la base delle lattughe e le foglie intere – ha spiegato Lahoz.
La sola strategia di lotta con antifungini non è pagante, né è pensabile utilizzare i fumiganti, ormai relegati dai regolamenti comunitari a trattamenti triennali. Lahoz ha messo in evidenza che l’insorgere di queste tipologie di avversità è dovuta soprattutto ad un ambiente con elevata umidità relativa, all’eccessivo sfruttamento dei terreni, e per via delle temperature che sono generalmente intorno ai 20 – 26°C. Il relatore ha indicato strategie integrate di lotta a cavallo tra una prevenzione efficace, la solarizzazione usando nuove tecnologie, l’utilizzo delle pacciamature uso di coltivazione in aiuole baulate – ed un ricorso agli antifungini mirato e utilizzando principi attivi tecnologicamente avanzati.
Luigi Morra ha sottolineato che le aziende produttrici di ortaggi di I e IV gamma devono affrontare con urgenza il rischio di perdita della qualità dei suoli agrari utilizzati, conseguenza della diminuzione del contenuto in sostanza organica, della mancanza di fertilizzazioni organiche significative, dell’elevato numero di lavorazioni del terreno che precedono ciascuno dei numerosi cicli colturali in un anno (4-6). La comparsa di avversità fungine come quelle descritte da Lahoz è un ulteriore segnale della perdita di complessità biologica dei terreni al punto da lasciare spazio anche a patogeni minori.
“Sono necessari apporti sensibili di sostanza organica nei terreni, adducibili mediante sovesci di sorgo coltivabili in brevi cicli estivi (2 mesi) – ha spiegato Morra - o attraverso l’impiego di compost derivante dalla frazione organica da raccolta differenziata proveniente dagli impianti di compostaggio della frazione umida dei rifiuti urbani di Salerno e Eboli. Anche il letame bufalino degli allevamenti presenti nella Piana può essere preso in considerazione”. Ma in quest’ultimo caso, non è consigliabile l’uso del letame anche se fatto maturare alcuni mesi secondo le consuete prassi aziendali; solo una sua stabilizzazione attraverso il compostaggio potrebbe dare garanzie di assenza di inquinamenti di patogeni pericolosi per l’uomo che potrebbero contaminare gli ortaggi a contatto con il terreno. “Solo modificando i disciplinari di coltivazione per quanto riguardale lavorazioni del terreno, gli avvicendamenti produttivi, la fertilizzazione organica, etc. – ha sottolineato Morra – sarà possibile attuare delle strategie di coltivazione capaci di rendere sostenibile nel tempo sia da un punto di vista agronomico che economico questo settore produttivo.”